lunedì 17 agosto 2015

Dialogo col campione: Marco De Gasperi

Marco De Gasperi è un atleta italiano di corsa in montagna e di skyrunning. Nato a Bormio nel 1977, inizia la sua attività sportiva nel 1992. Oggi milita nelle fila del Corpo Forestale dello Stato.

Nel suo palmares figurano titoli prestigiosi: 7 volte campione del mondo di corsa in montagna, campione europeo e più volte campione italiano, sia a livello individuale che a staffetta. Nella sua bacheca dei trofei si contano più di 20 medaglie.

Vincitore di alcune delle più importanti Skyrace, Vertical Kilometer e Vertical Races a livello internazionale.

Oltre ad essere un atleta è un grande appassionato di montagna. Passione che lo ha spinto a intraprendere un nuovo progetto: Boy Mountain Dreams




Ciao Marco, ascoltando le tue parole in diverse interviste, traspare un tuo legame intimo con le montagne, al punto che mi è parso siano una persona che conosci. Se io volessi incontrare questa persona, ma non la conoscessi ancora, quali consigli mi daresti? 

Sai, anche io mi sono posto lo stesso quesito guardando la naturalezza e la tranquillità con cui i marinai affrontano il mare. Per me che non so nuotare fa già strano vederli vicino ad una barca, mentre loro sanno dare del “tu” a uno spazio sconfinato di acqua, una cosa grande come il mare.
Credo che per me la montagna sia la stessa cosa, che il mare è per un marinaio. La montagna l'ho vissuta fin da quando ero piccolino, nella pienezza che caratterizza quegli anni. Mi ci sono avvicinato lentamente, prima con delle camminate estive per cercare le mucche di mio nonno che fuggivano dal pascolo, poi per arrivare in cima alle prime montagne, fino a creare un piccolo album in cui annotavo i miei primi 3000 metri e i ghiacciai conquistati. Queste esperienze nate e cresciute piano, piano, credo abbiano costruito il mio bagaglio culturale da “montanaro”. Quindi per me sarebbe difficile dire a qualcuno che non conosce la montagna: “ecco te la presento”. Lo si può invece fare con qualcuno che la vive regolarmente, che vive ai loro piedi o in paese vicino.
Potrei non essere la persona adatta per presentare la montagna a qualcuno che desidera conoscerla superficialmente, perché lui potrebbe non capire e non apprezzare ciò che io vedo e ciò che io intendo.
Ti racconto un’esperienza che forse può rendere l’idea. Mi è capitato di svolgere un training camp in un rifugio a 2100m con dei londinesi impiegati in banca. Ho scelto di proiettare dei filmati con scorci di montagna, racconti di esperienze di corsa e fatica, come anche esperienze di persone che hanno vissuto in passato il contrabbando passando da una valle all'altra. Vedevo queste persone estasiate, ma non sono certo che abbiano compreso a pieno, perché la montagna non la impari in questo modo. Credo che per insegnare a qualcuno cosa sia la montagna sia importante prenderlo e portarlo in montagna, spendendoci un po’ di tempo. Questo è un bagaglio che si costruisce lentamente vivendo delle esperienze.


Quindi se dovessi darmi un consiglio sarebbe quello di darmi del tempo?

Si esatto, credo che una persona debba darsi del tempo. Un altro aspetto fondamentale è il rispetto incondizionato, sia nei confronti dell’ambiente, sia della montagna in fase di scalata non azzardando cose strane.

Per uno sportivo il corpo è una delle fonti di informazioni più importanti, se non la principale. Esistono dei momenti specifici in cui riesci a sentire più nitidi i messaggi che ti manda e quali sono i messaggi a cui poni più attenzione?

Proprio ora che sono sul finire della mia carriera e mi accorgo che la candela diventa mano a mano più corta, mentre io desidero mantenerla viva il più lungo possibile, ascolto molto di più i messaggi del mio corpo. Ciò non significa che non sia consapevole che tutto ha una fine, ma mi accorgo che il mio organismo ha bisogno di più riposo e perciò preferisco dargli più tempo e più recupero.
Anni fa recuperavo maggiormente e più in fretta e questo mi portava a non ascoltare molto il mio corpo. Quando mi sentivo stanco credevo che la stanchezza fosse un aspetto da superare, per un discorso di allenamento. Oggi non è più così semplice, quindi ascolto molto le mie gambe, soprattutto le mie gambe e do spazio al recupero.
Questo è quello che sento in questa fase della vita, in cui mi accorgo di essere meno performante e seppure sia consapevole che il minor allenamento mi causa uno svantaggio sul piano agonistico, so che non ascoltando i segnali del corpo la situazione non può trarre giovamento.

Hai iniziato a correre molto giovane e stai continuando ancora a farlo. Se ripercorressi mentalmente la tua carriere sportiva, credi che lo scorrere del tempo abbia o ha modificato il tuo modo di affrontare lo sport e la competizione? Se sì, in che modo questo rapporto è cambiato?

Sicuramente con il tempo l’approccio si modifica completamente. Quando senti di essere pronto, preparato a qualsiasi sfida e magari pure favorito è semplice gestire le situazioni di difficoltà che si presentano. Se percepisci un calo fisico sai che questo può essere fisiologico e ti è facile connetterlo a un problema fisico di natura giornaliera. Inoltre in quei frangenti di difficoltà sai leggere la competizione in modo più lucido e veloce.
Ora mi capita di affrontare un pre-gara con maggiori tensioni dovute al conflitto tra il desiderio di essere performante e dall’altra dalla consapevolezza di dover lottare con più tenacia. Quando i dubbi ti assalgono perché gli allenamenti non sono più quelli di una volta e tanti sono al tuo livello, ovviamente l’approccio alla gara cambia totalmente. 

Lungo la tua carriera hai preso parte a gare molto differenti per durata e lunghezza. Come il tuo approccio mentale, nelle fasi che precedono la partenza, può variare? Ad esempio credi che in una gara breve sia più importante attingere al serbatoio dell'energia mentale ed emotiva o che sia meglio rilassarsi il più possibile per concentrarsi sullo sforzo massimale a cui si farà fronte?

Il pre-gara secondo me non ha differenze, sia che tu stia soltanto partecipando ad una competizione, sia che tu stia puntando a vincere. La preparazione consiste sempre nel concentrarsi per poter essere performante al 100%.
Ciò che cambia è quanto avviene dopo al colpo di pistola della partenza, in relazione alla lunghezza della corsa e in relazione al numero di partecipanti forti che prendono parte alla competizione. In questi casi gli approcci possono essere molto differenti sia a livello di gestione della pressione psicologica, sia nella pianificazione tattica.
Il pre-gara invece è sempre fatto di tensione, tensione giusta, e adrenalina che entra in circolo, ma senza che questa diventi eccessiva e quindi dannosa. Se ti carichi troppo rischi di mandare in tilt il sistema nervoso e di venire penalizzato dal punto di vista mentale.

Mi stai dicendo che la preparazione di pre-gara rimane costante, mentre ciò che varia è l’approccio lungo l’evento sportivo?

Esattamente, se voglio affrontare una Skymarathon che dura 4 ore e mezza o la scalata di un grattacielo che dura 3 minuti, per me la preparazione mentale è identica ma poi quando la competizione inizia modulo le energie mentali diversamente. 
La preparazione mentale è il processo che ti convince di essere preparato e di poter essere performante, di potertela giocare coi primi, di poter puntare a un podio. La preparazione è ciò che ti rende tranquillo, ma automaticamente ti carica.
Questo ognuno se lo costruisce mentalmente, ma poi quando sparano modulo le energie mentali in relazione alla tipologia di competizione.

A livello linguistico siamo soliti associare le discese ai periodi della vita felici (“è tutta discesa”) e le difficoltà alle salite. Nella corsa in montagna le discese però richiedono forza, coraggio, coordinazione, lucidità e massima concentrazione. Credi esistano momenti nella vita quotidiana simili alle fasi di discesa?

Ci sono dei momenti in una carriera cosi come in una vita, che sono più facili e più gestibili, come momenti più difficili.
Ad una determinata età, quando il tuo fisico e la tua testa sono al top per raggiungere una serie di eventi, magari tutte le cose ti vanno bene ed hai svolto una mole di allenamenti molto interessante durante l’estate capita che tutto venga facile. Queste situazioni possono essere paragonate alla sensazione di correre in discesa.
Tra l’altro bisogna dire che la discesa porta in gran parte ad un arrivo, al traguardo. Certo è importante non perdere mai la concentrazione, la lucidità e bisogna spingere sempre fino alla fine, ma dopo essere arrivato in cima è bello dire “ora me la godo”.
I momenti di discesa nella carriera di un atleta ci sono, ma non sono correlabili ad un’età biologica. Arrivano ad un’età soggettiva. Magari per una persona arrivano a 37 anni, avendo iniziato a correre a 30, ad un'altra che ha iniziato a 10/15 magari arriva intorno ai 25 nell’età della maturità.

Mentre ti ascoltavo mi sono domandato se c’è un segreto per cavalcare l’onda. Come quando giochi a poker e arriva la fortuna, devi essere capace di gestirla...

In questo sport mi è capitato di imparare che la fortuna aiuta gli audaci. Guardando alla mia carriera mi piace pensare a quando ero giovane ed ero molto più audace. Magari da giovanissimo ero audace da una parte e scapestrato dall’altra e mi capitava di rischiare scegliendo delle strategie un po’ folli, che poi mi hanno portato a vittorie incredibili e inaspettate.
Purtroppo con l’arrivare della lucidità adulta ho perso un po’ questa audacia, non lanciandomi più come facevo prima. Ho scelto invece di cavalcare l’onda positiva in un’ottica di pianificazione, optando per strategie caratterizzate da una bassa spesa con una massima resa. Questo è stato il principale cambiamento che ho notato da quando ho iniziato a correre.
Nella prima vittoria ai mondiali del 97, a vent’anni, il primo nella categoria seniores ho ottenuto una vittoria, partendo veramente piano per poi giocare sul fatto che tutti avrebbero patito il caldo e l’afa opprimente che c’erano durante la gara. Ho iniziato piano piano a risalire la china e alla fine mi è andata bene, riuscendo a vincere per pochi secondi.
Col senno di poi non ho più giocato una carta di questo tipo, soprattutto se volevo partire per vincere. Ho l’idea che le mie caratteristiche si adattino meglio ad altre strategie e che ripetendo una corsa come quella non otterrei gli stessi risultati.

La tua carriera sportiva è ormai ventennale. Guardandoti oggi allo specchio, come uomo adulto, credi che la corsa ti abbia cambiato? Quali aspetti del tuo carattere credi siano nati o si siano sviluppati attraverso lo sport durante questi anni?

Me lo auguro! Credo che questo sia uno sport che può portare qualcosa di buono nella vita di un uomo. Spero quindi di essere stato influenzato dalla corsa, anche considerando come la mia vita è fortemente connessa allo sport.

Ci sono degli aspetti che hai imparato durante l’attività agonistica che porterai con te nel tuo futuro personale?

Il fair play, che è sempre stato alla base dei miei ideali di atleta e sportivo, credo lo porterò sempre con me. Il fair play con tutti gli avversari è sicuramente il principale insegnamento di questo sport.

Anche l’aver potuto girare il mondo, sperimentando il modo di vivere di persone diverse da me, credo sarà un importante insegnamento, insegnamento che non può essere trasmesso dai libri.
Rispetto all’importanza della vittoria non credo ne verrò particolarmente influenzato. Anche se credo esista l’arrabbiatura per non aver colto un risultato sperato, questa poi si trasforma per me in una possibilità di riflessione per comprendere cosa non ha funzionato.

Secondo te, per un professionista, lo sport può rimanere una passione o come in tutti i lavori c'è un aspetto rilevante di sacrificio?

Mi è difficile pensare alla corsa come ad un lavoro tradizionale, perché avendolo praticato fin da ragazzo quando è diventato una professione ho pensato di essere fortunato e di avere una fortuna che capita a pochi.
Ora però che sono a fine carriera inizio a sentire il peso di alcuni allenamenti spinti che mi accorgo producono un logorio maggiore rispetto ad altre tipologie di lavoro. Inoltre, nonostante, la mia vita sportiva continui da vent’anni, credo che l’agonismo porti ad un più veloce logoramento. Il dovere raggiungere determinate performance è chiedere tanto sia al fisico che alla mente. Però quando vedo tanta gente che corre unicamente per passione mi accorgo di essere un privilegiato. 

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