lunedì 28 settembre 2015

Dialogo col campione: Daniele Crosta

Daniele Crosta è un ex schermidore italiano della specialità del fioretto.

Nel suo palmares figurano diversi titoli a squadre, tra cui un oro agli europei di Bolzano 1999; un bronzo ai giochi olimpici di Sidney 2000, ai mondiali di Città del Capo 1997 e agli europei di Funchal 2000.

Oggi Daniele Crosta lavora come psicoterapeuta e come psicologo dello sport.







Ciao Daniele, oggi sei uno psicologo/psicoterapeuta che si occupa anche di psicologia sportiva. Come credi la tua esperienza di atleta di alto livello possa agevolarti in qualità di psicologo dello sport e come credi che gli atleti che segui possano trarne beneficio?

L'esperienza sportiva mi ha permesso di “parlare lo stesso linguaggio” degli atleti. Credo questo dia il vantaggio di poter comprendere situazioni non propriamente comuni, che un atleta ti può raccontare.
Chi non ha mai vissuto lo sport agonistico, soprattutto se ad alto livello, farà più fatica a comprendere i vissuti di stress e le pressioni che un atleta deve sopportare.
Questo può essere un vantaggio, ma può anche diventare uno svantaggio. Gli atleti che incontro sono diversi da me e nonostante possano vivere delle esperienze che magari anche io ho già vissuto, ne daranno un'interpretazione soggettiva, perchè le vivono in modo singolare reagendo ad esse in modo singolare.
Credo quindi che l'esperienza pregressa come sportivo sia un'arma a doppio taglio. Da una parte ti aiuta, mentre dall'altra rischia di farti vivere una sorta di pregiudizio che può condizionarti, rendendo più difficile capire il vissuto originale dell'atleta.

La difficoltà quindi consiste nel distaccarti dalla tua esperienza e dal tuo vissuto?

Diventa complicato non applicare i “tuoi schemi”, dato che un atleta ti parla di cose che conosci. A mio avviso, non dovrebbe interessarmi del fatto che l'atleta mi parla di cose che conosco, mentre dovrebbe interessarmi capire come lui vive quelle cose, perchè lui potrebbe viverle in maniera molto diversa da me. A me possono sembrare le stesse cose, però lui potrebbe viverle in modo sostanzialmente diverso.
Dall'altra parte, facendo formazione a giovani psicologi che frequentano il master in psicologia dello sport, mi sono accorto che un vantaggio connesso all'esperienza pregressa è legato soprattutto agli sport di squadra.
La conoscenza di come funziona una squadra e come funziona il mondo dello spogliatoio, ti permette di evitare alcuni errori. Aiuta a muoverti in un contesto che non è semplice e in cui ci sono già delle regole spesso non sono scritte.
Seguendo delle squadre, anche durante le trasferte, mi sono accorto che la conoscenza che avevo maturato mi ha permesso di comprendere quale fosse mio “posto”, cosa non ovvia per chi non ha mai fatto sport.


Ci sono a tuo avviso degli aspetti di metodo legati alla tua esperienza sportiva che ti hanno aiutato nella tua carriera universitaria e professionale? Posso chiederti quali sono?

Penso di aver fatto uno sport di opposizione, non solo competitivo ma anche di scontro. Uno sport non di squadra, ma individuale. Credo, sportivamente, di essere cresciuto con l'abitudine di spostare sempre avanti di una tacca l'obiettivo.
Ogni volta che raggiungevo un obiettivo, lo spostavo avanti e credo che questo aspetto valga anche nella mia carriera professionale, che seppure non lunghissima, c'è. Vado avanti cercando sempre di salire di un gradino e credo che questa cosa derivi proprio dallo sport, perchè lo sport l'ho vissuto in questo modo. Ogni risultato era funzionale a raggiungere un livello superiore, nel quale dover ottenere altri risultati funzionali a raggiungere un livello ancora più alto.
Credo che questa sia anche un po' una fregatura perchè non si riesce mai a godere pienamente dei successi. Quando hai ottenuto un successo volti pagina e te ne prefiguri un altro da dover raggiungere.
Seppure ci siano degli aspetti negativi, dall'altra parte credo questo mi abbia permesso di crescere molto dal punto di vista professionale. Sono una persona che non si accontenta mai, io vorrei essere sempre più competente, capace di fare sempre nuove cose e sempre più bravo. Probabilmente grazie a questa inclinazione sono cresciuto molto in questi anni, però mi accorgo di parlare molto più facilmente di quello che voglio fare o di quello che mi manca, piuttosto di quello che so fare e che ho ottenuto.

Era così nello sport ed è stato così anche durante la tua carriera universitaria ed è così anche nella tua carriera professionale, giusto?

Si, giusto. Nello sport però è molto più facile, mentre nella carriera professionale non lo è altrettanto. Nello sport fai una gara e hai un responso immediato, mentre nel nostro lavoro non succede così.
Sai, un atleta che lavora con te e vince non è un feedback attendibile, come non lo è un atleta che va bene alle gare. Bisogna stare molto attenti a considerare questi feedback come relativi alle proprie capacità. Questo è un errore classico e anche abbastanza pericoloso.
I risultati dell'atleta non sono e non possono essere un risultato dello psicologo e non possono nemmeno essere un metro di misura. Questi dipendono da tante variabili e tu sei una di queste variabili. Puoi essere d'aiuto, ma nessuno toglie che poteva succedere la stessa cosa anche se tu fossi stato muto o non avessi fatto niente.
Invece nello sport, ti alleni, vai in gara e vai male, ti rialleni vai in gara e vai bene e il feedback è immediato. Hai inoltre delle occasioni continue, se non quotidiane, di metterti alla prova e di misurarti.
Quando inoltre sali di livello, sali di livello e ne sei consapevole. Invece nel mio lavoro salire di livello può voler dire tante cose diverse.

Tornando alla tua attività sportiva, prima di salire in pedana eri solito svolgere dei rituali o degli esercizi di rilassamento o di concentrazione?

Usavo tecniche di rilassamento o di visualizzazione, ma quasi mai salendo in pedana perchè avevo il problema contrario. Avevo maggiormente bisogno di caricarmi piuttosto che rilassarmi.
Le tecniche di rilassamento le ho usate principalmente nelle sessioni di allenamento mentale. Per lavorare bene su un movimento o un'azione è richiesto uno stato di rilassamento non dico ottimale, ma almeno buono e in quei casi mi sono servite molto queste tecniche.
Le tecniche però che mi hanno maggiormente agevolato in gara sono quelle che mi permettevano di recuperare un po' di lucidità nei momenti di massima difficoltà. In quei momenti avere la capacità di riconcentrarti su di te, sul tuo respiro, sul tuo corpo e quindi riuscire a mettere ordine in una testa schiacciata dalla pressione e che non riesce più a ragionare e riflettere bene, per me è stato importate.
Considera che il mio è uno sport in cui tra un assalto e l'altro passa poco tempo e anche tra una stoccata e l'atra passano pochissimi secondi. La capacità di recuperare lucidità fa quindi la differenza. In uno sport tattico dove non contano la forza e la velocità, ma in cui conta la capacità di fare la cosa giusta al momento giusto, facendo delle scelte il più possibile corrette, queste tecniche diventano cruciali.

Hai ottenuto diverse medaglie a livello olimpico, mondiale e europeo nel fioretto a squadre. Quali sono secondo te gli aspetti sui quali lavorare per costruire una squadra affiata e coesa?

Per costruire una squadra coesa e affiatata, credo sia fondamentale che ognuno percepisca la necessità dell'altro. Devo percepire i miei compagni necessari se voglio raggiungere il mio obiettivo.
Ho visto squadre fortissime e affiatatissime in gara composte da persone che si disprezzavano fuori dalla pedana, ma che si rispettavano tantissimo sotto l'aspetto tecnico agonistico. Questi atleti non avrebbero cambiato i loro compagni con nessuno.
Una squadra forte non è fatta di amici, ma è fatta di persone che sentono forte il legame rispetto alla funzionalità reciproca. Tu sei funzionale all'altro e l'altro è funzionale a te e non puoi farne a meno. Anzi! Ti è necessario e ti è necessario al massimo. Questo è un elemento, secondo me molto importante.
Un altro elemento è la fiducia nel compagno. Non parlo della fiducia in lui come persona, ma fiducia in lui come atleta. Questo è importante!

Mi stai dicendo che il piano umano si distacca da quello professionale?

Non dico questo. Dico che il piano umano non è una condizione sufficiente per vincere. Forse può esserlo in alcuni casi o in alcuni sport, però non credo sia una cosa necessaria.
Chiaramente se non c'è amicizia può esserci un elemento di difficoltà, ma non è detto che questo precluda il raggiungimento di un obiettivo.
Ho visto squadre fortissime, tra le più forti mai viste, dove fuori dalla pedana c'era una tensione palpabile tenuta ad un livello basso di conflittualità unicamente per il quieto vivere. Stiamo parlando di atlete di altissimo livello, con obiettivi di altissimo livello. Si parla di medaglie d'oro alle olimpiadi, quindi un obiettivo in grado di far passare tutto in secondo piano. Credo che in questi casi l'obiettivo era talmente importante e talmente alto da compattare il gruppo. Sicuramente non è un vantaggio essere nemici, ma l'essere amici non sposta tanto gli equilibri quando l'obiettivo è così chiaro e quando il tuo compagno ti serve così tanto.
Un'altra cosa molto importante per rendere una squadra coesa è la chiara divisione dei ruoli. Ciascuno deve avere un ruolo preciso e deve prendersi le sue responsabilità per il ruolo che ha. Se la squadra sarà composta da 11 elementi, invece che 3, sarà più complicato ovviamente. In ogni caso il ruolo deve essere chiaro e deve essere chiaro anche l'obiettivo per cui tu lavori sia rispetto il tuo ruolo personale, che rispetto al ruolo all'interno squadra.
Penso inoltre che ci sono state squadre composte da campioni, ma che non rendevano. Ad esempio la squadra che ci ha preceduto nelle olimpiadi di Barcellona e di Atlanta era una squadra fatta di campionissimi. I fiorettisti italiani di quella squadra erano tra i migliori del mondo, però è stata una squadra che non ha mai preso una medaglia alle olimpiadi. Non funzionava! Erano molto forti, però non funzionava!
Ho invece visto squadre come la Polonia dei miei tempi, fatta di buoni schermidori, ma non eccellenti che riuscivano ad essere dei martelli. Dei martelli! Credo che questo dipenda molto dalla chiarezza dei ruoli all'interno di una squadra.

Parlando di personalità, quali credi siano le componenti caratteriali più importanti per uno sportivo che si dedica al fioretto?

Questa è una domanda che gli schermidori si fanno sempre, ma a cui è difficile rispondere. Sulle altre due armi è più semplice darti una risposta, perchè capita spesso che uno sciabolatore sia estroverso e vivace, mentre lo spadista sia introverso e riflessivo. Il fiorettista invece è una via di mezzo.
Pensando ai campioni olimpici che ho conosciuto e che ho avuto in squadra non riesco a trovare dei tratti comuni, anzi. Ad esempio, Stefano Cerioni è un esuberante sia a livello fisico, che caratteriale, con una scherma molto aggressiva caratterizzata da molta forza fisica e da molta energia. Alessandro Puccini era invece un introverso, poco aggressivo, con una scherma poco legata alla forza, ma legata alla finezza e alla tecnica. Uno che parlava solo se c'era da dire qualcosa di importante, altrimenti preferiva stare in silenzio. Sicuramente un introverso riflessivo.
Devo ammettere che la nostra squadra delle olimpiadi era fatta da quattro persone una diversa dall'altra. Non credo quindi esista un tratto di personalità che aiuti più di altri. Credo si possa diventare buoni schermidori partendo da qualunque punto.

Quali invece credi siano gli aspetti caratteriali che più potrebbero danneggiare uno sportivo che si dedica a questa specialità?

L'incapacità di ragionare sotto pressione credo sia un elemento critico. La scherma è uno sport in cui devi fare delle scelte e in cui devi prenderti delle responsabilità. Devi saper ragionare in tempi molto rapidi e di conseguenza il controllo e la gestione delle emozioni diventa un fattore cruciale. A volte il cervello ti va “in panne”, ti sembra di fare una cosa intelligente, quando invece fai una boiata pazzesca.
Gli schermitori bravi che ho conosciuto erano tutte persone che riuscivano a rimanere lucidi anche sotto una forte carica agonistica. Riuscivano a fare dei pensieri tipici per lo schermitore (es: “se io faccio questo, lui cosa fa?”, “visto che è successo questo, lui starà pensando quest'altro e posso allora fare A, B, C”) anche se posti sotto pressione. Riuscire a fare questi pensieri sotto pressione è fondamentale, perchè stiamo parlando di uno sport tattico.
I primi 30/40 atleti del ranking mondiale sono tutti più o meno sullo stesso livello tecnico e fisico, quindi la differenza la fa la capacità di fare le cose giuste al momento giusto. La scherma non è uno sport di potenza e di velocità, ma è uno sport in cui la stoccata deve partire e arrivare al momento giusto, altrimenti non tocca. Mentalmente credo questa sia la competenza più importante.
Fisicamente il discorso cambia. Ad esempio se sei alto 1,70 devi essere veloce e scattante oltre ad avere una grande esplosività e una grande reattività. Se sei alto dovrai avere invece atre caratteristiche.

A tuo avviso nel mondo della scherma quanto credi contribuiscano, a livello percentuale, la testa e le abilità tecniche nella costruzione di una vittoria?

Non è così semplice dividerlo per quantità, ma credo che a basso livello conti molto di più la tecnica della testa, mentre ad alto livello sia il contrario.
Un atleta che arriva alle olimpiadi pratica scherma da almeno 15 anni, con una costanza e una frequenza molto alta. Un atleta del genere ha una tecnica molto buona e un fisico allenato per compiere certi movimenti. A un livello alto però queste caratteristiche tecniche e fisiche le hanno tutti e spesso anche di livello superiore al tuo, quindi credo che pesi più la testa. Se non c'è la testa non vai da nessuna parte!
Chiaramente se partecipi a una gara di coppa del mondo, partecipi al primo assalto ad eliminazione diretta, tu sei il numero 5 e tiri con il numero 60 qualche differenza tecnica ci sarà. Saprai fare più cose e meglio. Grazie a ciò potrai sopperire ad alcuni errori tattici.
Quando invece incontri il numero 20 del mondo i livelli tecnici potrebbero essere invertiti e può succedere che sia lui ad avere più tecnica di te, ma riesci comunque a vincere. Questo succede perchè gli fare quello che vuoi. Lui potrà farlo bene, ma sarà soltanto la cosa sbagliata fatta bene!

L'ultima domanda che vorrei chiederti è se c'è una frase o un motto che ti piace ripetere agli atleti che segui e che credi possa bene racchiudere il tuo pensiero rispetto alla psicologia sportiva.

No, non c'è. Preferisco non usare slogan, perchè non credo funzionino per tutti.
Sicuramente ci sono delle frasi, come “fai quello che puoi, finchè puoi”, “l'obiettivo non è vincere, ma fare il massimo”, che ripeto a giovani talenti che non ce la fanno a fare il salto di qualità, perchè si sentono schiacciati dalla paura di deludere. Queste però non sono frasi fatte, non sono slogan!
Preferisco invece concentrarmi sulle frasi che mi dicono gli atleti e che sintetizzano l'atteggiamento giusto per loro.

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