lunedì 7 settembre 2015

Dialogo col campione: Dario Andriotto


Dario Andriotto è un ex ciclista professionista, vincitore di 6 tappe e di un titolo italiano a cronometro nel 1997. Oltre a questi successi conta un oro mondiale nella 100 km a squadre dilettanti.



Ora gestisci un’attività connessa al mondo del ciclismo e sei un lavoratore stimato, credo però che costruire una vita al termine della carriera ciclistica sia stato impegnativo. Secondo te quali sono le principali difficoltà che un professionista deve affrontare al termine della sua carriera agonistica e quali sono le componenti caratteriali che possono aiutarlo a superare questi ostacoli?

Non ti nascondo che dopo 6 anni dalla fine della mia carriera di professionista io trovi ancora delle difficoltà. Ho avuto la fortuna che Andrea, il mio socio, mi abbia convinto a intraprendere l'attività commerciale in cui ora lavoro. Da solo non avrei mai fatto questo passo, perchè ero completamente all'oscuro delle procedure e delle pratiche per avviare un attività.
Capita che quando fai l'atleta tu sia chiuso sotto una campana di vetro e quando esci devi inventarti qualcosa di nuovo. Prima pensi solo ad allenarti, mangiar bene, a riposarti e alle gare, poi il giorno che smetti ti guardi allo specchio e ti domandi: “ora cosa faccio?”.
Al termine dell'attività professionistica realizzi di non essere a conoscenza di ciò che accade fuori dall'ambiente sportivo. Collegandomi al mondo lavorativo io non sapevo fare una fattura o come rivolgermi ad un cliente. Le cose più elementari, che una persona media impara all'età di 20 anni, io le ho scoperte a 38. Capisci come per me sia stato molto più complicato? Sto ancora imparando molte cose.


Ci sono aspetti caratteriali, maturati negli anni del ciclismo professionistico, che ti hanno aiutato come lavoratore?

Innanzitutto il ciclismo, come credo anche lo sport in generale, mi ha aiutato a superare meglio le delusioni che la vita ti presenta.
Oltre a questo aspetto le due ruote mi hanno portato a non accontentarmi mai di ciò che sto facendo. Quando ottieni una vittoria, desideri la seconda e poi ne desideri anche una terza. Nel mondo del lavoro questa mentalità mi è rimasta. Quando ottengo un risultato di budget, l'anno dopo voglio fare di più e poi ancora di più. Sono un “martello”, perchè sono stato abituato ad essere un “martello”. Nel mondo dello sport, se non sei al top troverai sempre qualcuno che ti batte. Devo però ammettere che, forse, nello sport era più semplice perchè dipendeva in modo maggiore da me stesso. Mi allenavo con costanza, con impegno, mi alimentavo bene ed era più facile per me vincere una gara, mentre nel mondo del lavoro anche se faccio tutto bene posso trovare qualcuno che vende il mio stesso prodotto a un prezzo più conveniente e io non concludo l'affare. Sento che nel mondo del lavoro i risultati dipendano meno da quello che faccio.
Nello sport, a meno di infortuni o incidenti esterni, se dai il massimo nei 10 ci sei. Si, nello sport il risultato è maggiormente connesso all'impegno. Il bello del ciclismo è che non hai una gara secca come nel pugilato per la quale ti sei allenato sei mesi. Nel pugilato, se vai sul ring e becchi un destro hai gettato all'aria sei mesi di lavoro. Nel ciclismo puoi allenarti per il giro d'italia e anche se questo va male, un mese dopo hai il tuor de france. Se sei forte e hai fatto le cose per bene, prima o poi riesci a dimostrare il tuo valore al pubblico, mentre nel lavoro è più complicato.
Nel mondo del lavoro non è tutto così scontato come lo è nel mondo dello sport. Tu ti affiacci al mercato senza avere un prodotto esclusivo e questo esaspera la competizione con le aziende concorrenti.

Ti sei affacciato al professionismo con alcune vittorie importanti. Quali sono stati i principali aspetti di difficoltà nel passare da un ruolo di spicco a un ruolo importante, ma più di supporto? Quali sono stati gli aspetti che ti hanno aiutato a superare queste difficoltà?

Fin quando inizi a correre da bambino, devi abituarti ad “azzerare il computerino” ad ogni passaggio di categoria. Anche se hai vinto 10 gare quando negli allievi (15 anni), al passaggio tra gli juniores devi “azzerare il tuo computerino”! Ogni salto di categoria è difficile. Questa è la ragione del perchè si fanno 2 anni da allievo, 2 anni da junior.
Io ho iniziato a correre a 8 anni e fino al dilettantismo ero abbastanza vincente, ma salendo ti accorgi che ti trovi in una piramide. Più sali e meno persone ci sono e nel professionismo c'è l'elite del ciclismo mondiale.
Quando partecipi al Giro, al Tour, alla Vuelta, alla Sanremo o alla Roubaix ti trovi a correre con i 200 corridori più forti del mondo. Li ho capito che non riuscivo più a vincere, perchè le mie forze mi permettevano solo di arrivare fino ad un certo punto. Ho preso consapevolezza che non avrei mai potuto vincere la Sanremo. Non so dirti se era una questione di gambe, motore o testa, ma oltre a un certo limite non potevo andare.
Realizzato questo, ho capito che per rimanere nel mondo del ciclismo dovevo adattarmi ad essere il gregario di qualcuno e mi sono accorto che io ero capace di ricoprire questo ruolo. Ci sono atleti arrivati nel mondo dei professionisti che nonostante non vincevano le gare non sono riusciti a fare il gregario e sono stati costretti a smettere. Atleti più vincenti di quanto lo sia stato io, invece, si sono affacciati al professionismo con grandi aspettative e questo non gli ha permesso di accettare di ricoprire il ruolo di gregario, finendo per essere scaricati.

Sei stato capace di accettare questo passaggio... non è scontato...

Sai ti rendi anche conto che fare il gregario è il tuo lavoro e che per vivere hai bisogno di lavorare. Non avendo bisogno di essere sulle pagine dei giornali e di guadagnare cifre astronomiche sono riuscito ad accettare questo passaggio.

Per te il ciclismo era un lavoro o una passione?

Era entrambi, seppure dopo un paio di anni di professionismo è diventato più un lavoro.

Come fai ad accorgerti che il ciclismo diventa un lavoro?

La passione ce l'hai quando sei ragazzino, perchè vedi una luce, un obiettivo, e vuoi arrivare la. Anche se i tuoi amici vanno a ballare a te non interessa, perchè vuoi realizzare il tuo obiettivo. Tu vuoi vincere la gara e sei consapevole che se vai a ballare coi tuoi amici non riuscirai a vincere la gara.
Quando arrivi al professionismo e hai 25 anni, ti rendi conto che la tua carriera durerà massimo 5 o 10 anni e in quel periodo deve riuscire a guadagnare più che puoi, perchè l'atleta non lo puoi fare fino a 50 anni. Io posso dire di essere stato fortunato ad arrivare fino a 38 anni.
Io ripeto sempre che il fisico è un limone. Quando tu il limone l'hai spremuto, rimane solo la scorza e la scorza la butti via. Ogni anno devi essere capace di lasciare qualcosa attaccato alla buccia, in modo da avere qualcosa da spremere anche l'anno successivo.
Se vuoi esagerare e spremere tutto in un anno devi essere bravo a guadagnare a sufficienza, perchè poi ti buttano via e trovano un'altra persona da spremere. Per non spremerlo tutto e subito bisogna essere intelligenti e furbi nel saper gestire una stagione.
Certo, puoi fare Giro, Tour e Vuelta, ma l'anno successivo il tuo fisico ti presenterà il conto. Devi essere bravo nel programmare il giro al massimo e fino ottobre gestirti, per ottenere un contratto che ti permetta di lavorare altri due anni.
Magari osando di più avrei potuto ottenere più risultati, ma durando di meno. Chiaramente questa è un'ipotesi. Esistono corridori che osando hanno ottenuto grandi successi, sono riusciti a vincere la Milano-Sanremo e ora vivono di rendita, mentre io devo continuare a lavorare.

Hai corso al fianco di grandi capitani, partecipando e collaborando anche alla vittoria di un Giro d’Italia. Secondo te quali sono le doti caratteriali che permettono ad un gregario di eccellere? 

Prima di tutto un buon gregario diventa tale quando ha un grande capitano. Una volta che hai un grande capitano, però devi essere capace di gestire il gruppo.
Poche volte capita che tutti i membri della squadra siano d'accordo nel “tirare la volata” a una persona specifica. Molti vogliono vincere e si domandano cosa gli rimanga in tasca quando vince un altro. Se parti dal presupposto che la gara può essere vinta da una persona sola, devi essere capace di creare affiatamento e tenere insieme una squadra di 10 corridori.
Dato che ero capace di fare queste cose alcuni capitani mi hanno chiesto di correre per loro. Sapevano che dove correvo sapevo creare armonia e sinergia e che grazie al mio apporto la squadra riusciva ad ottenere risultati migliori.
Queste cose il capitano non le sa fare e un buon gregario deve essere capace di far quadrare i conti all'interno della squadra. Il capitano spesso è un corridore molto forte, talentuoso, eccentrico, che come lavoro ha quello di vincere, quindi ha bisogno di una mano nel tirare la squadra dalla sua parte.
Ho avuto capitani molto forti, che non hanno però capito il valore della squadra e di come questa gli permettesse di diventare qualcuno, come ho avuto capitani che hanno avuto l'intelligenza di scegliere buoni gregari, per diventare ancora più forti.
La mentalità dei capitani non è sempre facile da capire. La mia fortuna è stata avere un paio di capitani dei quali capivo il pensiero solamente guardandoci negli occhi. Senza parlare io capivo cosa volevano e io lo facevo.

Come si creano sinergie e collaborazione in una squadra?

Queste si creano stando insieme, facendo i ritiri, parlando tanto e facendo passare che si è “uno per tutti, tutti per uno” e che non ha senso fare la guerra all'interno del gruppo. I premi e le vittorie si divino e se non collaboriamo ci perdiamo tutti.
E' a partire dalle piccole cose che si costruisce una squadra, come alcuni piccoli rituali che le nuove generazioni stanno perdendo. Ad esempio, durante le gare e i ritiri, al termine della cena, ci si ritrovava tutti nella hall dell'hotel a scherzare o a parlare di cose serie. Oggi capita che al termine della cena ogni corridore si chiuda in camera con il computer o con i telefoni e questo danneggia la comunicazione all'interno della squadra. Purtroppo questo ha portato il ciclismo ad essere ancora più uno sport individualista “morte tua, vita mia” e a ridurre la durata delle carriere dei corridori.

Il buon gregario è una sorta di allenatore interno alla squadra?

Credo di si. Ci sono state delle corse in cui il capitano veniva a domandarmi se tirare o meno per andare a prendere la fuga e pensavamo se tirare o provare ad andare a chiedere ad un'altra squadra cosa volesse fare.
Anche tatticamente il buon gregario deve ritagliarsi un ruolo importante. Chiaramente io gli ultimi km non c'ero più ed era compito del capitano andare a vincere la gara.


Invece pensando ai tuoi capitani, quali sono le caratteristiche di personalità che secondo te caratterizzano il leader ideale?

Un capitano deve essere carismatico e deve saper riconoscere l'importanza dei suoi gregari. Se un capitano quando vince non divide la torta, tempo tre corse rischia di venire silurato. Questo non significa che il gregario debba ottenere quanto un capitano, perchè non ha vinto la gara e non ha dovuto gestire lo stress connesso, ma il capitano deve essere riconoscente di chi lavora per lui.
Un capitano intelligente capisce che se riconosce il valore di chi gli sta intorno al posto di vincere una gara, ne potrà vincere 10.
Sono due quindi gli ingredienti del buon capitano: il carisma e l'intelligenza di capire che il ciclismo è uno sport di squadra.

Come cronoman hai ottenuto risultati di spicco, vincendo anche un titolo italiano. Quali sono gli aspetti mentali che tratteggiano il buon cronoman, differenziandolo dai corridori di corse di un giorno e di corse a tappe? 

Per andare forte a cronometro devi trovarti bene in una situazione in cui ci sei solo tu, la bici, la strada e il tuo obiettivo. Devi inoltre essere capace di concentrare tutte le tue energie fisiche e mentali in quel giorno e in quell'appuntamento, sapendo che sei li dopo aver costruito la tua preparazione lungo un percorso lungo di allenamenti più o meno intensi, di riposo e di buona alimentazione.
Devi essere capace di pianificare e rispettare tutti i passaggi di un lungo percorso, che ti permettono di arrivare a quell'evento al top. E il giorno dell'evento devi essere capace di superare quei possibili blocchi psicologici che potrebbero compromettere la prestazione


So che sei alla guida di una squadra giovanile di ciclismo. Quali sono a tuo avviso i valori che vanno coltivati tra i giovani ciclisti? Ci puoi spiegare la tua scelta?

Fino a quindici anni fa i ragazzini che andavano in bici lo facevano per puro divertimento, mentre oggi inizia ad essere presente dello stress, perchè è già presente uno spirito di competizione alimentato dai genitori. Secondo me in questo periodo storico tendiamo ad esasperare tutto.
Questo finisce per accrescere l'invidia tra i ragazzini, mentre non gli insegniamo la lealtà che per me è un valore importante. Vedo che tra i bambini sono già presenti delle malizie, che secondo me non dovrebbero essere presenti.
Capita spesso che amatori che hanno smesso di correre a 16 anni sperano che possano riuscirci i loro figli e gli insegnano cose che non vanno insegnate ai bambini. I ragazzi devono giocare, divertirsi, essere spontanei in ciò che fanno ed essere leali tra di loro.
Ti racconto un esempio. In una gara un ragazzino di 9 anni, arrivato quinto, è stato classificato settimo, ma i due ragazzi posizionati prima in classifica per sbaglio non hanno detto nulla. Il giudice è umano e può sbagliare, ma i direttori sportivi, gli allenatori e i genitori avrebbero dovuto dire ai loro figli di essere leali e di segnalare l'errore.
Questi valori se non li trasmettiamo adesso, i bambini non li impareranno certo a 20 anni e vivranno solo per ottenere il risultato e saranno pieni di invidia se questa cosa non succederà.

Sembra quasi che sia importante insegnare qualcosa ai genitori...

Esatto. Mio padre e mia madre e i genitori dei miei compagni di squadra poche volte guardavano le gare dei figli, avevano altro a cui pensare. Se loro figlio non vinceva non era un problema, mentre oggi i genitori vogliono che i loro figli facciano risultati a ogni costo.
Sento alcuni genitori dire “mio figlio è già un velocista!”, ma un bambino di 9 anni non saprai se diventerà un velocista, un passista, uno scalatore o un professore di matematica. Un bambino di 9 anni è prima di tutto un bambino che va a scuola ed è questo che deve fare.
Può darsi che le doti atletiche di tuo figlio siano inoltre connesse alla stazza fisica, ma quando i coetanei diventeranno come lui non sarà più così forte. I genitori creano dei campioni, prima che lo diventino. I valori che vanno trasmessi sono la spontaneità e il divertimento, perchè il ciclismo è uno sport duro.

Un ultima domanda. Mi hanno raccontato che sei un appassionato di enologia. Se da corridore fossi stato un vino, quale saresti stato e perché?

Probabilmente un vino rosso che si chiama Valpolicella superiore, un vino di uve appassite. Le uve vengono colte e fatte seccare con l'aria e quando si sono ristrette spremi quello che c'è.
Il Valpolicella superiore è un vino buono, ma non è il migliore. Il migliore è l'Amarone. Ero un buon vino, ma non un'eccellenza.

Mi sai dire qualcosa sul sapore del Valpolicella?

So che a me piace tantissimo, perchè è un vino corposo da bere accompagnandolo a delle carni. Serve un bicchiere adatto, perchè, seppure non sia un'eccellenza, è un vino pregiato.
E' un ottimo vino che piace a molti e che va sicuramente bevuto in compagnia.


SE HAI LETTO QUESTA INTERVISTA POTREBBE INTERESSARTI ANCHE:
Intervista Davide Frattini




Nessun commento:

Posta un commento