mercoledì 14 ottobre 2015

Musica in Movimento: System of a Down - Toxicity

Chi non ha mai visto l'haka della squadra neozelandese di rubgy? Si tratta di una danza maori di preparazione alla battaglia, adottata dagli All Blacks prima degli incontri. E chi non prova un brivido, una sensazione di potenza emergere dal centro vitale e pronto a propagarsi all'esterno? Ecco, nel cercare una qualche musica che possa avere lo stesso effetto, diversi potrebbero essere gli album, ma me ne viene in mente uno, forse proprio perché utilizzato a volte per darmi una carica importante.
Trattasi di "Toxicity", album del 2001 del gruppo degli americani (di origini armene) System of a Down. Non è musica per tutti, bisogna avere un certo gusto per le chitarre pesanti, per un po' di urla (anzi, il growl, vera e propria tecnica vocale), per ritmiche al limite del trash metal, e per una buona dose di incazzatura. Testi impegnati a livello socio politico, di critica alle ipocrisie americane e occidentali, musiche a tratti davvero folli, ma in tutto e per tutto geniali.


L'album si apre con "Prison Song", vera e propria violenza musicale, tra growl, una velocità assurda, e voci schizofreniche, ma con una seconda parte più melodica, che fa capire subito che questi sanno fare tutto, a partire dalla voce di Serj Tankian, capace di usare ogni timbro vocale possibile. Con "Needles" la storia è simile, tra cambi di ritmo, voci che si rincorrono tra urla e momenti di calma, con la chitarra di Daron Malakian (anche seconda voce) a passare dal leggero arpeggio alla schiattata furente, accompagnato dalla batteria frenetica e potente di John Dolmayan e dal basso di Shavarsh Odadjian.

Eccola la carica, e se si sta ascoltando questa musica durante uno sport, i battiti cardiaci aumentano in modo automaticoIn "Deer Dance" la musica è un po' meno frenetica, il che vuol dire sempre potente, ma con inserti più melodici (e Tankian che regala anche un falsetto, che mancava fin'ora). Con "Jet Pilot" sembra di stare in mezzo ad un pogo con il suo incedere hardore, seppur la strofa permetta dif ar conoscere le influenze orientali e armene della musica del gruppo.
Eccoci ad "X", quinta canzone dell'album: pare di essere in un pezzo di classico crossover nu-metal, e invece ci si sposta su altre ritmiche frenetiche e voce ossessiva: fortuna che in mezzo dei piccoli momenti di respiro i System li mettano spesso. È il momento di "Chop Suey!", pezzo che li ha fatti conoscere a livello planetario, con la solita strofa schizofrenica, ma con ritornello memorabile e persino commovente, e un finale in crescendo di una bellezza unica, aldilà di ogni gusto musicale.
E fin qua ci siamo. La nostra carica l'abbiamo avuta. La nostra sudata la si sta facendo. E allora cosa meglio di "Bounce", altro pezzo completamente folle, da pogo (direttamente citato ossessivamente nel testo), o da corsa sfrenata.
"Forest" in confronto pare una canzonetta tranquilla, ma siamo sempre in territori caldi, con la solita voce potente e ormai inconfondibile. "ATWA" parte somessa, con un semplice chitarra e voce, con una melodia leggera, ma l'esplosione avviene, eccome se avviene, prima con un ritmo più lento del solito, poi con un finale letteralmente feroce.
Con "Science" le ritmiche rimangono tese, ossessive, ma non iperveloci come altre volte, con addirittura un intermezzo medio-orientaleggiante. In "Shimmy" torna la frenesia, toni serrati, e una chitarra che si muove nuovamente in territori medio-orientali.
"Toxicity" è l'altro pezzo, insieme a "Chop Suey!", che ha portati i System of a Down  nella stratosfera: se nella strofa si assiste ad un pregevole magnetismo, con la voce di Tankian dolce e malinconica, nel ritornello eccoci alla solita (e solida) esplosione metal, con la voce di nuovo potente e urlante. I ragazzi ci sanno decisamente fare.
"Psycho" è un altro pezzo multisfaccettato, tra suoni cupi, esplosioni metal, a tratti psichedelia, voce ossessiva e, ..."psycho". Il finale della canzone, più lento e morbido, ci introduce all'unica canzone dai ritmi davvero lenti, "Aerials", pezzo conclusivo dell'opera, canzone meravigliosa: introduzione del basso di Odadjian, un arpeggio che sa di balcani, e poi sì esplosione rock, ma senza isteria stavolta, c'è spazio solo per l'introspezione, la poesia, e la voglia di uscire dai dolori dell'epoca moderna. Il momento per respirare, al termine de lnostro esercizio, o per ritrovare concentrazione, se ascoltato prima di un'attività intensa.
L'album però non è ancora finito, manca la traccia fantasma, "Arto", suonata con l'aiuto del polistrumenista armeno Arto Tuncboyaciyan, autentico genio musicale: due minuti di cori e ritmiche tribali, che possono avere un doppio effetto: riportarci sulla Terra, o portarci su nuove coordinate spazio-temporali, pronti a nuove battaglie.
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