lunedì 9 novembre 2015

Dialogo col campione: Alessandro Proni


Alessandro Proni è un ex ciclista professionista e oggi si occupa di biomeccanica applicata al ciclismo e allenamenti personalizzati.

Divenuto professionista nel 2007 con la Quick Step, ha conquistato nello stesso anno una vittoria di tappa al Giro di Svizzera.


Alessandro Proni è conosciuto e riconosciuto nel mondo sportivo per aver saputo dare primaria importanza ad aspetti famigliari anche durante i suoi anni di attività professionistica.





Ciao Alessandro, nonostante tu abbia da poco smesso di correre, hai già intrapreso una nuova attività come biomeccanico e personal trainer. Quali sono a tuo modo di vedere gli aspetti, caratteriali e non, che ti hanno facilitato in questo passaggio?

Da qualche anno mi stavo guardando intorno, perchè ero un po' stufo del mondo che gravitava intorno alla bicicletta. Non tanto della bicicletta in sé, ma piuttosto di ciò che gli stava intorno.
Questo ha fatto in modo che quando ho smesso di correre fossi in parte preparato. Ho, quindi, potuto subito iniziare un lavoro che già facevo da qualche anno per passione, con amici parenti e conoscenti. Un lavoro che non era proprio tale, perchè mi divertiva.
Avere già iniziato qualche anno prima credo mi abbia aiutato, inoltre sento che per me è stato di aiuto vedere la soddisfazione delle persone che seguivo a livello biomeccanico. A quel punto mi sono detto: “Perchè, no? Perchè non trasformare una passione in un lavoro?”.
Ho sempre vissuto il mio lavoro come una passione e continuare in questa direzione credo possa essere una cosa molto bella. Non tutti sono altrettanto fortunati! Così è iniziata e poi questo lavoro piano, piano, è cresciuto e oggi posso dire di essere soddisfatto.


Credi ci siano dei tuoi aspetti caratteriali che ti abbiano facilitato in questo passaggio?

Tendo a non piangermi addosso e ho un approccio positivo. Questo mi porta a saper voltare pagina molto velocemente.
Sai se dovessi voltarmi a guardare e a pensare tutti i sacrifici fatti, mi mancherebbe l'aria, mi mancherebbe il fiato. La mia forza credo sia non fermarmi troppo a rimuginare, perchè so che se mi fermassi sarebbe tutto più complicato.
Questo credo mi abbia aiutato anche nelle cose della vita, soprattutto nei periodi successivi alla perdita di mia sorella. La sera o la notte, quando sono solo, mi trovo a pensare, provo ad accelerare a 1000 in modo da scacciare via i cattivi pensieri.

Se invece dovessi riflettere sulle difficoltà che si presentano al termine dell'attività professionistica, cosa mi risponderesti?

Per tutta la mia vita, se non considero gli anni passati a scuola, la mattina mi alzavo e andavo ad allenarmi. In un attimo questa routine è venuta meno. Mi alzavo e mi rendevo conto di non avere più un obiettivo e questo mi portava a domandarmi per quale ragione dovessi andare ancora in bicicletta.
Le giornate sono diventate molto più lunghe. Quando andavo in bicicletta stavo in sella almeno dalle tre alle sei ore. Tornavo quindi a fare una vita “normale” alle 2/3 del pomeriggio e questa per me durava mezza giornata. Nell'altra metà c'era la spensieratezza che sa darti la bicicletta, che mi permetteva di stare come su un altro mondo.
Il passare a vivere una giornata “lunga” per me è stata una difficoltà. Da una giornata di 12 ore, sono stato catapultato alla vita di tutti i giorni, la vita di tutti, che dura 24 ore.

Ci sono stati degli aspetti che ti hanno aiutato a sentire le giornate meno lunghe?

L'ho sperimentato come se fosse un allenamento. Quando inizi la preparazione 2 ore in bici ti sembrano infinite, mentre poi durante la stagione queste diventano utili a “scaricare”.
Così come nell'allenamento, anche nella vita mi è accaduta la stessa cosa. Le giornate inizialmente sembravano infinite, mentre oggi avrei bisogno di 2 giornate per fare fronte a tutto ciò che devo svolgere. Credo sia una sorta di allenamento sia fisico, che mentale.

Quali sono gli aspetti di maggiore crescita personale che porti con te dal mondo dello sport professionistico e che senti ti stiano aiutando nella tua nuova avventura professionale?

Non voglio limitare la risposta al mondo professionistico, ma credo sia più importante dire cosa mi ha dato il mondo della bicicletta. Mi ha aiutato a non mollare mai e mi ha aiutato a sopportare la sofferenza. Quando sei in gara, in salita e non sai quanto mancherà ancora, provi una sofferenza che quasi è difficile ritenere vera. Questo ti rafforza molto dal punto di vista mentale.
La bici ha la capacità di dare una forma al tuo carattere, di rafforzarlo. Il non mollare mai proprio della bici credo di averlo portato nella mia vita quotidiana. Devo ringraziare i miei genitori e in particolare mio padre che mi ha indirizzato verso questo sport meraviglioso.

Secondo te in che modo i valori trasmessi dalla famiglia e dalla scuola possono influenzare un ciclista? Tu senti di essere stato un professionista con aspetti propri e personali, proprio per quanto ti è stato insegnato?

Innanzitutto credo che per un ciclista sia fondamentale avere una famiglia che asseconda questa passione, perchè è uno sport durissimo in cui i momenti in cui vorresti mollare tutto sono dietro l'angolo. Mi ritengo fortunato ad avere avuto la mia famiglia sempre vicina, che mi assecondava e che era consapevole di cosa potesse darmi la bicicletta.
Conosco ragazzi che non hanno avuto questa possibilità. In momenti duri non avevano qualcuno vicino che li potesse confortare e hanno finito per abbandonare i loro sogni. Gli atleti sono molto forti mentalmente, ma possono essere anche molto fragili. Vanno da un estremo ad un altro.
Tutti i grandi atleti, non solo legati al ciclismo, hanno delle fragilità ed è per questo che la famiglia riveste un ruolo importante, perchè deve saper supportare i periodi in cui vuoi chiuderti in casa e non vedere nessuno.
A mio modo di vedere penso che una caratteristica comune a grandi atleti è che si sono sposati presto. Bastano 2 o 3 persone che ti aiutano a creare quel senso di sicurezza intorno a te, per superare i momenti difficili della vita.

Mi stai dicendo che la famiglia non è particolarmente importante quando stai vincendo, ma quando ci sono momenti difficili?

Quando vinci tutti vogliono salire sul carro dei vincitori, mentre quando hai un periodo difficile non succede così.
Ad un atleta basta poco per perdere fiducia e buttarsi giù e sai bene che la testa ha un ruolo centrale. Un piccolo bruciore di gambe può diventare un bruciore insopportabile! La famiglia che ti sta accanto ti conosce e sa come comportarsi. Il tifoso invece non ti conosce e anche il tifoso amico può conoscerti fino a un certo punto. La famiglia ti ha visto crescere, ti conosce, capisce quando sei in difficoltà e conosce i modi migliori per farti rialzare.

C'è una frase detta da tuo padre o un tuo famigliare che senti ti abbia caratterizzato come sportivo?

La cosa più importante insegnatami dai miei genitori è che lo sport è importante, ma non è tutto. Oltre a questo mi hanno insegnato a perdere. Ricordo con particolare piacere quando a 7 anni un bambino mi battè in una gara e io andai da lui a stringergli la mano.
Sua madre guardò la mia e gli disse “ma come! Suo figlio perde e viene a stringere la mano a mio figlio?!”. La risposta di mia madre mi rimase impressa “io sono contenta non solo quando mio figlio vince, ma anche quando perde e sa riconoscere che l'avversario è stato più forte”. Questo mi ha aiutato anche negli anni a venire, perchè mi portava a non cadere in ogni tipo di tentazione. Accettavo la sconfitta quando venivo battuto e vedevo gli avversari come atleti più forti e non come dei ladri.
Non vengo da una famiglia ricca, ma da una famiglia che ha dovuto sempre guadagnare quanto aveva. Una famiglia che non ha mai fregato il prossimo, per regalarmi o regalarsi cose che non poteva permettersi. Questo insegnamento ha fatto parte di me nello sport e lo porto con me anche nella vita quotidiana.

Pensando al ciclismo, quali sono secondo te gli aspetti caratteriali da allenare per diventare un buon ciclista e secondo te come possono essere allenati?

Quanto sto per dirti può sembrare una stupidaggine e l'ho detto veramente a poche persone. Uno degli anni in cui sono andato più forte mi ripetevo sempre che non avevo mal di gambe. Mi allenavo a dire a me stesso che non avevo mal di gambe.
Cercavo di pensare positivo e questo mi ha permesso di accorgermi come pensare positivo possa aiutarti molto sia nella vita, come nello sport professionistico. Basta poco per buttarti giù, quindi è importante essere forti di testa.
Devo però ammettere che grandi campioni sono anche fragili, infatti quando smettono di fare sport finiscono per cedere alla vita normale. Non ho mai veramente capito il perchè a questi atleti è come se gli si presenti davanti un burrone. Forse erano logorati dalla vita sportiva, che è una vita che ti consuma fisicamente, ma anche mentalmente.
Forse quando chiudono l'attività professionistica finiscono per concedersi tutto quanto si sono negati prima. Un ciclista in particolar modo è sportivo 24 ore su 24 e non solo quando è in bicicletta. Sta attento a tutto, dal cibo, al tempo che passa in piedi, all'attenzione per il riposo.
Credo che molti atleti chiudano prima proprio per questa ragione e, come si dice in gergo, saltano di testa. Capita così anche a sportivi che si dimostrano grandi atleti, ma finita la loro attività agonistica non riescono a lottare come quando erano corridori.
Io ho avuto la fortuna di intraprendere un lavoro che mi piace, ma se dovessi definire questo passaggio direi che è “una seconda vita”. Sembra che tu rinasca, trovandoti ad affrontare situazioni completamente diverse da quelle che hai conosciuto nel passato. Io la chiamo “la mia seconda vita”!

Quindi sei nato una seconda volta?

Si, perchè ho dovuto ricominciare tutto da capo! Devi ricominciare indipendentemente da tutto il lavoro che hai fatto per diventare ciò che sei stato.
Rimanendo nell'ambiente ciclistico io ho avuto la fortuna di trovare più semplice questa fase. Quando svolgo l'attività da biomeccanico o se devo consigliare una bici, so consigliare al meglio e sono consapevole della mia professionalità. Le persone inoltre conoscono il mio passato da ciclista professionista, si fidano di me, e la strada per me è quindi spianata. Chiaramente questo è dovuto al fatto che in passato ho saputo dimostrare professionalità. Devo però ammettere che prima pensavo solo ad allenarmi, mentre ora devo pensare a 2000 cose!

Ci sono degli aspetti di questa seconda vita che ti piacciono?

Sicuramente si! Sono più libero mentalmente. Posso mangiare di più, posso andare a camminare o addirittura a “buttarmi da una montagna”. Posso fare ciò che voglio! Prima ero privato di tutto, mentre ora posso scendere e giocare a palla con le mie bambine. E' stata come una liberazione!

Nella tua carriera hai corso con grandi capitani. Secondo te quali sono le doti che deve avere un leader per essere un buon leader?

Un buon leader deve darti sicurezza e deve essere capace di trasmetterti la sua mentalità. Uno dei più “signori” è stato Garzelli, come lo è stato anche Bettini. Devo però dire che mai e poi mai nessuno è stato capace di trasmettermi grinta come Danilo Di Luca.
Nonostante tutto quello che è accaduto, bisogna dire che Danilo di testa era fortissimo. Mai ho visto un ciclista con una convinzione mentale pari alla sua e questa convinzione era capace di trasmetterla a te che dovevi tirare per lui.

Ci sono degli aspetti che ti sono stati trasmessi dai tuoi capitani, che hai portato con te nella tua nuova avventura lavorativa?

La grinta di Danilo la metto nel mio lavoro, mentre la gentilezza di Garzelli credo l'avessi anche prima, ma è un aspetto sicuramente utile nel mio lavoro.

Nella tua esperienza di ciclista c'erano dei pensieri che ti aiutavano a superare i momenti di massimo sforzo? Posso chiederti quali erano?

Credo ricorderò per tutta la vita quando vinsi al giro di Svizzera. Avevo il gruppo dietro di me e mentre sentivo il suo fiato sul collo il pensiero è andato immediatamente a mia moglie e alla mia bambina. Ora ho due bambine, ma all'epoca ne avevo una soltanto.
Pensavo che la voglia di non mollare la dovevo dedicare a loro, per tutti i sacrifici che insieme avevamo fatto. Per tutte le volte che ero mancato da casa, per tutte le volte che non avevo potuto vedere la mia bambina. Per ringraziare mia moglie che mi aveva permesso di fare questo sport!
Mi ripetevo sempre che non dovevo mollare per loro, anche se in quel momento io stavo morendo. Ho resisto e sono riuscito a vincere.
Questo mi permetteva anche di avere una maggiore importanza nella squadra e nel ciclismo, oltre ad un altro buon contratto, ma queste erano solamente conseguenze. Il mio pensiero era assorbito dal desiderio di dare una soddisfazione alla mia famiglia.

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