mercoledì 9 marzo 2016

Musica in Movimento: Miles Davis - Kind of Blue

Un musica per ridurre la sensazione di stress, ma allo stesso tempo capace di trasportare in luoghi immaginifici, in dimensioni dove la gravità sembra non avere la giusta efficacia del mondo reale? Esiste, ed è una delle più grandi produzioni artistiche in assoluto di tutto il '900: si tratta di "Kind of Blue" di Miles Davis, e si tratta di jazz, più precisamente di jazz modale (ovvero dove le canzoni non seguono classiche sequenze di accordi o tonalità, ma dove le improvvisazioni si adeguano ai cambiamenti di scale melodiche, magari sempre sulla base dello stesso accordo per tutta la durata della musica).

Nel 1959 questo album creò una specie di rivoluzione nella musica jazz, fornendo le nuove coordinate sulle quali si sarebbe basato tutto il nuovo jazz. Registrato nell'arco di soli due giorni (esatto, due!!!), sulla base di pochi spunti melodici indicati da Miles Davis, è l'album jazz più conosciuto, probabilmente il più importante, l'unico in grado di mettere d'accordo i puristi del genere e gli innovatori, appassionati di musica classica e appassionati di rock, conoscitori profondi della teoria musicale e completi profani. Come ho detto, una delle più grandi produzioni artistiche del secolo scorso.

L'album inizia con "So What", introdotto da un semplice giro del contrabbasso di Paul Chambers, poi ritmato dalla batteria sempre precisa e mai ingombrante di Jimmy Cobb e col sottofondo del pianoforte di Bill Evans, sopra la quale i fiati si avvicendano in fraseggi magici, mai eccessivamente virtuosistici: Miles Davis alla tromba, Julian "Cannonball" Adderley al sax contralto, e quello che diventerà da lì in poi uno dei più grandi del jazz, John Coltrane con il suo caldo suono al sax tenore.

In "Freddie Freeloader" viene introdotta subita la base sulla quale si muoveranno i musicisti, in primis il piano di Wynton Kelly (presente solo in questo brano), seguito da Davis con melodie pulite e spinte al giusto limite. Meravigliosamente soffusa è "Blue in Green", a tratti malinconica, dove Bill Evans col pianoforte accompagna in modo delicato e morbido gli assolo dei fiati.

Sembra dare più stabilità l'inizio di "All Blues", accordi più riconoscibili al nostro orecchio, eppure basta poco per tornare a viaggiare: ognuno dei musicisti dona la propria magia senza cercare di superarsi, creando una perfetta coesione all'interno del collettivo, un perfetto esempio di anarchia, utopia efficace e possibile probabilmente soltanto nel jazz. L'ultimo brano è "Flamenco Sketches", basato su scale melodiche tipicamente latino/spagnoleggianti (lasciando intravedere una sorta di Bolero jazzato), dove ancora una volta ognuno dà il meglio, Adderley e Davis in primis, proponendo melodie di una profondità unica e irraggiungibile.

Ascoltare questa musica sublime ha effetti incredibilmente simili a quelli di una blanda attività fisica, forse per una produzione di endorfine non poco rilevante, o forse perché fa viaggiare nelle alture delle possibilità musicali come poche altre produzioni nella storia.

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