lunedì 14 dicembre 2015

SportivaMente - Samuele Robbioni

Samuele Robbioni è un Mental Trainer.

Ha accompagnato la squadra del Calcio Como 1907 nella risalita dalla serie D, fino all'attuale Serie B.

Samuele Robbioni ha collaborato con squadre di basket, calcio, rugby e atleti nelle discipline individuali di scherma, tennis, atletica, nuoto, ciclismo e ginnastica ritmica.











Ciao Samuele, ci puoi spiegare di cosa si occupa un Mental Trainer?


Questa è una domanda solo all'apparenza banale, Credo sia troppo semplice risponderti che un Mental Trainer si occupa della preparazione mentale. Questo significa tutto, come non significa nulla. 
Credo che l'obiettivo di chi fa questo lavoro debba essere ben chiaro, ovvero portare l'atleta o il giocatore che lavora con te ad una consapevolezza. Essere consapevole significa conoscere le proprie capacità, come anche i propri limiti. Mi piace pensare che anche la Leadership abbia a che fare con questo processo.
Per un atleta raggiungere questo obiettivo credo sia un grande risultato, perché nel momento in cui divento consapevole delle mie capacità e delle mie potenzialità, i miei limiti diventano un punto di partenza. Questo è un lavoro estremamente difficile, perché implica una messa in discussione importante da parte dell'atleta. Un Mental Trainer è quindi un professionista che costruisce un percorso di consapevolezza.


A cosa è finalizzata la consapevolezza?


La consapevolezza è finalizzata ad un risultato che l'atleta vuole ottenere, ma non solo. Mi piace molto lavorare con i giocatori anche con esperienze che avvengono al di fuori del campo.  
Da quattro anni a questa parte i giocatori del Como a turno, ogni settimana, fanno un'esperienza di volontariato. Il venerdì andiamo a giocare con i bambini del reparto di pediatria del Sant'Anna di Como. E' un concetto semplice, ma concreto: se una persona cresce fuori dal campo, cresce di conseguenza anche in campo. 


Quali sono a tuo avviso le principali doti che deve possedere un Mental Trainer, per essere efficace?

Sicuramente deve essere competente. Per lavorare a certi livelli credo che una specializzazione in psicologia sportiva sia necessaria. Questa è una forma di rispetto nei confronti degli atleti e degli allenatori con cui si va a lavorare. 
Un secondo punto è la coerenza. Per coerenza intendo dare la disponibilità al giocatore di confrontarsi su quello che accade quotidianamente. Quando lavoro con squadre sportive cerco sempre di essere al campo almeno 2 volte la settimana, perché la coerenza nasce anche dalla presenza.
Un terzo elemento è la credibilità, che credo consista nella capacità di creare un linguaggio comune. Sandro Gamba, uno dei più grandi allenatori di basket di tutti i tempi, finite le lezioni teoriche del master in psicologia dello sport, quando prendevamo un caffè insieme, mi suggeriva di provare a parlargli come se lui fosse il mio giornalaio. Mi suggeriva quindi di parlargli di qualcosa riguardante il suo mondo, il mondo dello sport, in maniera comprensibile.
Quindi, dico: competenza, coerenza e credibilità.


Un atleta che volesse rivolgersi a un preparatore mentale, a tuo parere, come può accorgersi che un professionista è competente, coerente e credibile?


Quando si parla di aspetti psicologici c'è una tendenza a teorizzare. Per questo motivo la capacità di tradurre la preparazione mentale in un linguaggio comune e comprensibile è già un sintomo di efficacia. Dico sempre ai giocatori che se non comprendono ciò che dico, sono io che non mi spiego bene. Un atleta che sente che sta comprendendo e che percepisce di star facendo suoi dei concetti sono buoni segnali.
Un secondo aspetto è legato alla percezione del cambiamento. Quando un atleta percepisce, che tra un colloquio e l'altro, tra una settimana e l'altra, c'è un cambiamento in lui che si ripercuote sulla metodologia di allenamento e nel confronto con i suoi compagni di squadra, e con il mister, vuol dire che il lavoro è efficace. 
Il cambiamento non deve essere immediatamente positivo. Il cambiamento può metterti in crisi e può portarti a fare delle domande, mettendoti in discussione, ma credo che questo sia un indicatore di quanto un intervento di questo tipo possa essere funzionale.
In conclusione terrei questi due criteri: 1) se quello che viene spiegato viene compreso dall'atleta; 2) se ciò che viene interiorizzato produce un cambiamento. 


Attualmente stai affiancando il Como Calcio 1907. Secondo te quanto conta la creazione di un gruppo coeso nel raggiungimento di un obiettivo e come è possibile facilitare questo processo?


E' fondamentale! non è un luogo comune! Cito spesso coach Gamba, che per me è stato un maestro. Lui diceva che una squadra campione batte sempre una squadra di campioni. Questo è uno dei miei motti preferiti a livello professionale. 
Una squadra che sa mettersi in discussione e che riesce ad allineare le proprie capacità e i propri limiti, batte spesso una squadra composta da 11 giocatori più forti, che non hanno maturato la  disponibilità al confronto.
Per questa ragione, a me interessa che i giocatori, in qualsiasi disciplina, imparino a diventare squadra. Il concetto di gruppo è un concetto affascinate, che rimanda anche ad una sintonia che si forma fuori dal campo, ma questo accade raramente. Ciò che fa la differenza è essere squadra. Rispettare i ruoli, rispettare le competenze, mettersi in discussione è fondamentale.
Dico sempre ai giocatori che il loro obiettivo personale può diventare un obiettivo di squadra e se raggiungono l'obiettivo di squadra sarà più facile raggiungere il loro obiettivo personale. Raggiungere il proprio obiettivo personale è più facile con l'aiuto di altre 10 persone, che remano nella tua stessa direzione.
L'anno scorso, siamo arrivati a giocarci i play-off con altre 7 squadre. Nella griglia dei play off noi eravamo l'ultima a livello di classifica, ma una dopo l'altra abbiamo battuto tutte le squadre più forti.
Se chiedi ai giocatori e allo staff, quello che secondo loro ha fatto la differenza, ti risponderanno che è stata la capacità di diventare squadra. Parlano di squadra e non di gruppo. Il gruppo lo puoi creare fuori dal campo, ma non fa la differenza. 

Mi raccontavi che quando sei arrivato erano 11 giocatori promettenti, ma non erano una squadra..


Al Calcio Como, sono stato chiamato da mister Colella nello staff della prima squadra, dopo aver lavorato con lui nel settore giovanile. Era evidente a entrambi che c'era un insieme di giocatori, ma non una squadra. Giocatori giovani, molto talentuosi, provenienti da settori giovanili importanti, ma che non erano riusciti a creare dinamiche di gruppo e di squadra.
Erano ragazzi con una storia particolare anche a livello personale, ragazzi talentuosi, che non erano mai riusciti a fare squadra. La prima cosa che abbiamo concordato con il mister è che se l'allenamento inizia alle 10 ci si mette fuori dallo spogliatoio e fa testo il nostro orologio. Ci siamo attenuti a step concreti e pratici.
Esiste un orario di allenamento molto preciso, ci sono delle regole da rispettare e chi non rispetta quelle regole sta fuori. Tu puoi essere anche il giocatore più forte, ma tu stai fuori. E' impressionante vedere come funzionino le sfere d'influenza. Se lavori con un giocatore in questo modo, il suo compagno lo percepisce e inizia ad allinearsi. Una sfera d'influenza si allarga e diventano due sfere, poi tre, quattro, cinque. Chi non si auto-allinea si auto-esclude, come in un processo naturale.
Abbiamo lavorato su questo aspetto, cercando di fare in modo che ognuno comprendesse la sua area di competenza, senza trovare alibi. Ragionando su quello che dipende da noi e lavorando su esperienze molto pratiche abbiamo iniziato a “seminare” il concetto di squadra.
Nelle ultime 6 partite della stagione abbiamo fatto 13 punti su 18. Questi risultati sono il frutto di un lavoro in cui la coerenza è fondamentale. Infatti prima di arrivare ai 13 punti su 18 siamo passati da 4 sconfitte consecutive, tra cui anche un 5 a 0 in 9 uomini. Se tu hai la capacità di trasmettere, anche in questi momenti difficili, contenuti, regole e rispetto, per forza di cose si crea una squadra.


C'è stata una situazione o un evento in cui si è potuto percepire un cambiamento, un cambio di livello, che poteva far capire che si era formata una squadra?

Credo che in questi 3 anni siano accaduti due episodi significativi. Il primo anno, quello della salvezza, è stato dopo aver perso 5 a 0 in 9 contro 11. Dopo quella sconfitta è scattato qualcosa. Abbiamo capito che anche in un momento così difficile poteva esserci qualcosa da imparare. 
Abbiamo imparato che per non rivivere più un'esperienza simile dovevamo vedere il compagno come una risorsa, anche se non ci sta particolarmente simpatico e che è più semplice uscire dalle difficoltà in 11 rispetto ad uscirne da solo. 
L'anno passato invece, la squadra, due mesi prima della fine della stagione si è trovata nello spogliatoio e si è detta che stava facendo il suo dovere. Erano sempre nelle prime posizioni in campionato ed erano arrivati in finale di Coppa Italia di Lega Pro. La squadra, in quel momento, si è guardata in faccia e si è detta che poteva finire la stagione così, disputando comunque un'annata discreta, o poteva provare a mettersi ulteriormente in gioco, cercando con tutte le energie ancora disponibili di raggiungere I play-off.
I giocatori potevano mettersi a disposizione l'uno dell'altro e dare il meglio di quello che potevano partendo dall'allenamento fino ad arrivare alla partita. Con la consapevolezza che nella vita si può scegliere di finire un buon campionato, rimanendo una buona squadra, o provare a fare un salto di qualità per diventare una grande squadra. Credo questi siano i 2 momenti più significativi.


Nel processo di costruzione di un risultato, pensando alla tua esperienza in che fasi si assiste a più frequenti situazioni di empasse mentale? Nelle fasi di preparazione, dopo una sconfitta, prima di raggiungere una vittoria, dopo aver vinto....


Credo che mantenere un equilibrio dopo una vittoria sia la cosa più difficile. Quando stai scalando una montagna, e sei in difficoltà, vedi la cima. L'obiettivo è davanti a te e ti appigli ad ogni cosa per raggiungere la vetta.
Quando sei arrivato in cima, invece, ti puoi guardare attorno e godere del panorama, ma in quel momento specifico serve la capacità di tornare a valle, trovando il desiderio di riprendere a scalare un'altra montagna e raggiungere un altro obiettivo.
La storia accaduta l'anno scorso con il Como Calcio è simile. Abbiamo passato l'inizio di stagione nelle prime posizioni, abbiamo giocato ottime partite, ma a un certo punto non abbiamo retto la pressione di essere in vetta alla classifica. Ne abbiamo discusso molto sia con lo staff, che coi ragazzi, e le ragioni erano molteplici.
In certi frangenti c'è il rischio di adattarsi alla serenità che trasmette il raggiungimento di un obiettivo. Mentre la consapevolezza della vittoria ti deve spingere a raggiungere un ulteriore e nuovo obiettivo. Non credo abbia a che fare con il pensiero di “sentirsi arrivati”, ma piuttosto con un adattamento ad una nuova dimensione.
Eravamo una buona squadra, ma c'erano squadre più forti di noi sulla carta e a livello di budget. Per passare da essere una buona squadra a una grande squadra, avevamo il bisogno di tenere fisicamente e mentalmente e di fare un salto di consapevolezza. Questo salto di consapevolezza, come ti raccontavo, è avvenuto nella fase finale della stagione.


Ti riferisci a vittorie parziali?


Erano vittorie parziali solo fino a un certo punto. Essere primi dopo 7 partite di campionato non significa aver vinto soltanto una match.
L'esperienza a cui mi riferivo in precedenza, l'abbiamo vissuta un paio di volte. In un paio d'occasioni eravamo primi e la partita dopo perdiamo e torniamo secondi. Poi c'è stato un momento di crisi, ma siamo riusciti a rimanere a ridosso delle prime. Nei primi 3 mesi, le volte che arrivavamo ad essere primi seguiva una caduta o un rallentamento.
Non credo fosse la vittoria a pesarci, ma la posizione di vertice. Il Como Calcio è una piazza storica del calcio italiano ed è stata una fucina di talenti come Vierchowod, Tardelli, Borgonovo, Zambrotta e Paolo Rossi. Le aspettative erano quindi da serie A, seppure giocassimo un campionato di Lega Pro. Quando eravamo primi tutti sostenevano che finalmente il Como avesse ritrovato il suo posto, ma il peso del passato può essere una grande responsabilità. C'era un'aspettativa importante da gestire e non era semplice.


Sei anche tifoso del Como? Questa curiosità mi sorge ascoltandoti parlare del tuo lavoro con così tanta passione...


Io sono comasco e sono nato a Como. Anche se da piccolino ogni bambino si appassiona al Milan, all'Inter o alla Juve, il Como  ce l'ho sempre avuto nel cuore e nella mia mente sono forti i ricordi di  grandi campioni come Borgonovo, Matteoli, Fontolan, Galia, Centi e tanti altri.
Sicuramente in me è forte il senso d' appartenenza e credo questa sia una risorsa. Chi mi vede in tribuna pensa che ho bisogno di un bravo psicologo. Sul campo, prima della partita e dopo la partita sono estremamente razionale. Cerco di cogliere tutti i particolari, il verbale e il non verbale della squadra avversaria, ma quando sono in tribuna esce il tifoso. Credo che fare un lavoro con competenza e professionalità, abbinato alla passione sia veramente una grande risorsa.
Credo che i risultati ottenuti in questi anni siano maturati perchè tante professionalità dal direttore sportivo, allo staff, come alcune figure della dirigenza hanno saputo abbinare competenza e  passione. 
Uscivamo da anni difficili. Fallimenti societari, ripartire dalla serie D senza riuscire a vincere il campionato. Riportare il Como Calcio dopo quasi 12 anni in serie B è stato qualcosa di incredibile. 


Pensando invece ad un allenamento mentale, in contesto di squadra, credi sia più importante lavorare con allenatori o giocatori?


Ti rispondo entrambi, ponendo però la premessa che concordare una linea di coerenza, di programmazione e di rispetto condivisa con l'allenatore è un aspetto basilare. Infatti, quando inizio un lavoro con una società, la prima cosa che chiedo è di parlare col mister. Concordo con lui: i ruoli, le competenze e gli strumenti e le modalità d'intervento. Per lavorare bene in un contesto sportivo di squadra credo sia importante creare questa chiarezza fin dall'inizio. Anche ai giocatori do lo stesso rimando, definendo che se hanno un problema con l'allenatore o con un compagno di squadra è importante che lo affrontino direttamente prima di parlarne con me.
Una volta fatto questo è importante lavorare sul concetto di squadra, dando poi la disponibilità individuale a tutti i giocatori. Ti racconto la mia esperienza del primo anno di collaborazione con mister Colella.
Abbiamo svolto dei test con la squadra sul Flow, la prestazione eccellente, facendo la media di squadra, la media per reparto e condividendo il profilo di prestazione eccellente con tutti i giocatori. Accanto a questo i giocatori potevano venire da me a confrontarsi individualmente per svariati motivi. Alcuni erano infortunati e volevano capire come ottimizzare la situazione dell'infortunio; altri per gestire l'ansia; altri per definire l'obiettivo. Alcuni avevano litigato con la ragazza o avevano problemi coi genitori. Il lavoro individuale è, però, una scelta del giocatore, perché nessuno li obbliga a venire a parlare con me. Chiaramente quello che mi dicevano rimaneva tra di noi, ma decidevamo insieme cosa condividere e con chi fuori dalla porta in funzione del miglioramento della prestazione.
Seppure però esista un lavoro che riguarda il giocatore, credo che quello col mister sia fondamentale, perché, come dico sempre, è l'allenatore che va in panchina ed è l'allenatore che va in campo a dirigere l'allenamento.
Ho maturato diverse esperienze di collaborazione con allenatori e devo ammettere che quando si crea la capacità di condividere il lavoro si da vita ad esperienze fantastiche che danno l'idea dell'efficacia del lavoro di preparazione mentale. Due esperienze che ricordo con particolare piacere sono quelle con mister Colella nel calcio e con coach Barbiero, che è stato anche nello staff della nazionale di basket femminile.


Se ci fosse un aspetto del tuo carattere che desideri particolarmente trasmettere alle persone che segui, quale sarebbe?


A costo di ripetermi, dico senza alcun dubbio il concetto di coerenza. Quando si vince è facile essere coerenti, quando invece ti confronti con le difficoltà diventa più difficile. Credo però che la coerenza, nella vita professionale come personale, paghi sempre. La coerenza ti porta ad essere credibile, ad essere riconosciuto e da anche sicurezza alle persone che ti stanno attorno.
A questa aggiungo la capacità di confrontarsi, perché sono convinto ci sia sempre qualcosa da imparare in ogni esperienza e in ogni incontro. Quando mi ha chiamato il presidente per andare a lavorare con il Calcio Como, gli ho domandato se poteva darmi una settimana per parlare con le persone che gravitavano intorno alla società. Volevo parlare con l'allenatore, il direttore, col magazziniere e con tutti coloro che lavoravano col Calcio Como da molti anni. Da parte del presidente ho trovato la massima disponibilità e tutti gli aneddoti che ho scoperto mi sono stati molto utili nel lavoro che ho svolto in seguito.
In ultimo, una delle cose più belle che mi piacerebbe passare ai giocatori, è il concetto che c'è sempre la possibilità di cambiare. Un giocatore può sbagliare un rigore, commettere un errore in campo o nel comunicare un messaggio, ma non è il giocatore ad essere sbagliato. Se si parte da questo assunto si prende la consapevolezza, che se lo si sceglie, si può sempre migliorare.


Pensi che l'aspetto mentale sia considerato sufficientemente per le prestazioni a livello professionistico, o c'è ancora da lavorare?


In sport come il basket o il rugby l'approccio alle tematiche mentali è differente, forse perché sono influenzate da uno stampo anglosassone. Nel calcio siamo, invece, molto indietro. Trovo incredibile che un settore con importanti margini di miglioramento sia così sottovalutato.
Le ragioni sono molteplici. In parte questa situazione è dovuta alla difficile misurabilità di concetti come motivazione e Flow. Come puoi misurare questi aspetti in modo preciso, dettagliato e scientifico, rendendoli traducibili in un linguaggio adatto al campo? 
Credo che lavorare su ciò che non è misurabile sia la cosa più difficile, ma sono questi gli aspetti che ti forniscono margini di miglioramento e possibilità di crescita. Ciò che è misurabile è invece alla portata di tutti. Gli strumenti di allenamento, gli esami e le metodologie sono più o meno gli stessi dalla Lega Pro alla Serie A.
Un'altra ragione riguarda la concezione di motivazione, concepita in modo estemporaneo, e l'idea del Mental Coach come motivatore. Quando qualche giornalista mi chiama chiedendomi se sono un motivatore, sorrido. Ho troppo rispetto delle persone con cui lavoro per pensare che possa arrivare io a dar loro una motivazione esterna, capace di creare chissà quale cambiamento. La motivazione, quella che fa la differenza, è dentro ognuno di noi. Questo concetto, a volte banale, di motivazione, impedisce lo sviluppo di un ambito con grandi margini di miglioramento.
Un'altra possibile causa è la concezione del Mental Coach molto basata su concetti di PNL. La PNL propone tecniche molto efficaci, ma queste vanno integrate con una laurea o una specializzazione in psicologia dello sport per potere garantire un livello di qualità professionale adeguata.

Quanto è successo al Calcio Como credo sia un'esperienza degna di nota. Il lavoro mentale curato sia dentro che fuori dal campo, il lavoro sulla comunicazione e sulla gestione di squadra realizzato in modo pratico, funzionale e concreto, ci hanno permesso, a mio avviso, di avere una risorsa in più. 

Nessun commento:

Posta un commento